Va Pensiero

Dopo l'anteprima, ecco il racconto. Questi appena sotto sono i personaggi... buona lettura!


Va pensiero
by Matteo Lietti

Lo yacht scivola lento sulle acque nere, un luminoso puntino nella fredda notte dell’alta Gran Bretagna. Là, tra le frammentate isolette che punteggiano l’estremità nord-orientale dell’Oceano Atlantico, l’elegante imbarcazione pare un elemento estraneo al panorama, come una fastidiosa macchia su una raffinata tela di qualche artista rinascimentale.
Ma su quello yacht niente pare fuori posto: gli interni ricercati sono il perfetto ambiente per i cinque ospiti del natante. Gente distinta, altolocata, che pure nei festeggiamenti mantiene un aplomb tipicamente british; e nonostante questo, i sorrisi e i brindisi paiono sprecarsi. Si conoscono da decenni, hanno condiviso i piccoli e i grandi piaceri della ricchezza, infischiandosene di costruire una famiglia, mentre il tempo passava e, da un’idea di Bluehound, si è arrivato a questo, come fosse la cosa più naturale del mondo; i cinque hanno appena stipulato un’assicurazione, un testamento firmato e controfirmato, che farà confluire tutti i loro averi nelle tasche di colui il quale sopravvivrà agli altri; una sfida, un gioco che caricherà di adrenalina gli ultimi anni di una vita passata nell’agiatezza. Sono loro, gli unici a poter calcare i pavimenti dello yacht. Uniche eccezioni, il capitano, Hallfredsson, vecchio lupo di mare svedese, ed Hector, braccio destro del capitano, trent’anni passati sull’acqua, dolce o salata che fosse.
Una fitta pioggia comincia a cadere senza troppa frenesia sulla nave, dove i cinque hanno appena finito di  festeggiare il loro accordo; ognuno fa ritorno alla propria cabina, in una navigazione ancora piacevole, su un mare che sta però ingrossandosi. All’improvviso, un botto. Forte, tanto da far tintinnare i vetri: un bicchiere, rimasto in soggiorno, cade, frantumandosi a terra. Mentre il whisky viene lentamente bevuto dal tappeto persiano, i cinque accorrono in sala macchine, incontrandovi Hector, anch’egli richiamato dall’esplosione mentre stava riposando. Già la prima analisi lo convince del fatto che lo yacht, in queste condizioni, è come un guscio di noce mosso dalla corrente. Ogni motore è inservibile.
La stranezza principale è l’assenza del capitano: viene cercato, ma di lui nessuna traccia. Solo DeScott nota la mancanza della scialuppa di salvataggio: che Hallfredsson sia fuggito? E perché avrebbe dovuto farlo?
I sei si interrogano, quando un nuovo colpo richiama la loro attenzione: lo scafo si inclina quel tanto che basta per far perdere l’equilibrio a tutti. Markish, DeScott e l’ipocondriaco Young cadono, riportando qualche livido. L’imbarcazione si è incagliata su uno scoglio, qualche sasso prima di un’isoletta non più grande di una delle loro numerose ville. Il fianco dello yacht si è aperto, e la navigazione, ora, è davvero terminata. Hector convince i cinque a scendere, nonostante il temporale stia diventando davvero minaccioso: lo squarcio si estende per qualche metro, ed è possibile che la nave possa affondare. Il soggiorno sull’isola non sarà comunque molto lungo: il marinaio ha già inviato l’allarme, attivando il Gps. I soccorsi non tarderanno ad arrivare, sempre sperando che il fortunale perda forza. Trevor non sembra molto d’accordo ma, suo malgrado, accetta.

I sei scendono, accampandosi appena dentro una spelonca sulla spiaggia. Non passano che dieci minuti, e Young non trova più il contenitore delle sue pillole. Borbotta, indispettito, era convinto di averlo preso; mentre si convince siano i primi segni di un Alzhaimer incombente, si muove per raggiungere la nave. Hector si offre di farlo al suo posto, ma Young lo intima di fermarsi: nessuno tocca le sue cose. Il riccone raggiunge, barcollando, la nave: vi sparisce al suo interno.
Finché una potentissima deflagrazione scuote l’aria, che viene subito riempita dal fumo e dai detriti dello yacht, che tracciano nel cielo arcuate traiettorie di fumo che si spengono sulla spiaggia, come grandi sbuffi di gesso su un enorme lavagna. Numerosi uccelli prendono il volo, disturbati nel loro sonno, altrettanti pesci prendono a galleggiare sulla superficie, maciullati dalla potente onda d’urto.
I cinque guardano sbigottiti ciò che resta della nave, illuminati dalla danzante luce del fuoco che brucia lento lo scafo. Poi si scuotono, e si lanciano alla ricerca di Young, sparpagliandosi sul bagnasciuga e sulle prime propaggini del mare. All’improvviso, il suono persistente di una suoneria; il telefonino di Trevor ha deciso di interrompere le ricerche, inondando la spiaggia delle note serene del Va, pensiero. Il marchese dello Yorkshire estrae dalla tasca il cellulare, pigia il tasto per attivare la comunicazione, e lentamente porta l’apparecchio all’orecchio. Trevor sbianca, e la comunicazione viene chiusa; pochi istanti dopo, gli altri lo raggiungono, visibilmente tesi. Trevor rimane impassibile, e solo le insistenza dei compagni lo esortano a parlare. Ma ciò che dice ghiaccia il sangue nelle vene di tutti i presenti. “…Ha detto che sarà solo il primo”.

La pioggia continua, incessante; ed Eolo ha deciso di aggiungere alla serata anche un forte vento, teso, freddo. I cinque rimasti iniziano a far supposizioni, descrivendo come responsabile più probabile il capitano Hallfredsson, scomparso senza spiegazioni. Tuttavia Hector, convinto dell’innocenza del suo superiore, trova come spiegazione più plausibile la colpevolezza dello stesso Young: chi ha visto il suo cadavere? E come poteva lo svedese conoscere il numero di cellulare di Trevor? La discussione sembra degenerare, e ci deve pensare DeScott a calmare gli animi. Rimbrotta tutto il gruppo; non è in questa maniera che si affrontano momenti tanto difficili. Propone di esplorare l’interno della grotta per evitare qualsiasi sorpresa ma, soprattutto, per distogliere l’attenzione dell’intera compagine da quelle discussioni controproducenti. Mentre Trevor e Markish rimangono all’ingresso della spelonca per controllare l’arrivo dei soccorsi o il passaggio di eventuali navi, per non parlare del fatto di tenere d’occhio l’assassino, DeScott, Hector e Bluehound si muovono verso l’interno. I tre trovano ben presto una biforcazione e decidono di separarsi, almeno per i primi metri; DeScott e Hector prendono la via di destra, Bluehound quella di sinistra. I due avanzano, quando DeScott decide di infilarsi la pipa in bocca per allontanare un po’ la tensione; una fumata virtuale che lo ha sempre calmato. Ma non ci vuole molto perché l’arciduca del Cottonshire si ritrovi a respirare affannosamente, a barcollare e infine a cadere, tra spasmi di dolore. Poi, un urlo agghiacciante, prima di spirare. Hector cerca di effettuare i primi soccorsi, ma non c’è nulla da fare;  alle sue orecchie arriva lieve una suoneria, la stessa di prima, il Va, pensiero. All’ingresso della grotta, Trevor avvicina il telefonino all’orecchio, schiacciando il tasto verde. Serra le mascelle; è ancora lui. “Questo è il secondo”.
Hector viene presto raggiunto da Bluehound e Markish, richiamati entrambi dall’ultimo grido di DeScott, con ogni probabilità avvelenato.

Markish è esasperato, ma allo stesso tempo deciso: un furore risoluto, che ha come unico obiettivo Young. Per il barbuto è stato lui; ha finto la sua morte, e ora li sta uccidendo tutti, per prendersi i soldi. Li farà cadere, uno dopo l’altro, tramando nell’ombra; ma lui, Markish, l’ha capito, e ora lo andrà a prendere. Sfodera la sua pistola, una vecchia colt perfettamente funzionante, inizia a caricarla; Bluehound tenta di fermarlo, utilizzando anche il suo pregiato e inseparabile bastone da passeggio, ma non c’è nulla da fare. Markish torna all’ingresso della grotta, supera Trevor, ed esce nel buio, sotto la pioggia battente.
Nella spelonca rimangono Hector, Trevor e lo stesso Bluehound: sentono un primo colpo, un secondo subito dopo. Poi, un’esplosione, molto più potente delle altre. Quindi, il silenzio. I tre, oramai in preda della disperazione, si armano di pila e si gettano a capofitto alla ricerca di Markish, dividendosi su tre fronti. Poi il cellulare di Trevor torna a suonare. Va, pensiero, sull’ali dorate… Lo sentono tutti, e non è difficile intuire il contenuto della chiamata ancora prima che si ricongiungano e Trevor riporti le parole del killer “E sono tre…”
Sconfortati, forse a voler trovare conferma della telefonata, o forse per accertarsi che il conte di Ipswich non sia l’assassino, continuano le ricerche del cadavere di Markish. Non ci vuole molto perché lo trovino, orrendamente deturpato; sembra che la pistola gli sia esplosa in faccia. Il temporale continua, senza sosta, acquisendo potenza; i tre decidono di tornare nella grotta, ma la scarsa visibilità allontana i componenti del gruppo. E’ solo l’urlo di Bluehound a riunire Hector e Trevor: il duca del Devonshire è precipitato dalla scogliera. Le pile dei due puntano il basso, scorgendo tra i flutti il bastone, che naviga solitario.
La suoneria del cellulare di Trevor inizia a trillare; Giuseppe Verdi torna per un istante a vivere in quell’isoletta della Bretagna. Il marchese dello Yorkshire non risponde: uno sguardo al cellulare, per poi scaraventarlo con un urlo nel mare, imprecando contro l’assassino.
I due superstiti sono sconvolti, riescono a malapena a tornare nella spelonca. Stanchissimi, fisicamente e mentalmente, attendono l’arrivo dei soccorsi, ormai imminente. Trevor ride, amaro; ha una fortuna, ora, ma ha appena perso tutti i suoi amici. E meno male che c’è Hector, testimone superpartes di una orrenda nottata che non è ancora finita. Meno male perché, anche riuscendo a salvarsi, avrebbero potuto sospettarlo, dopo l’accordo siglato poco tempo prima, e aggiungere danno al danno. E finire perfino in prigione…

“Ci hai provato, Trevor…” un’ombra si materializza appena fuori dalla caverna, puntando una pistola verso il marchese “…ma ti è andata male”. Trevor è incapace di reagire, Hector afferra un tizzone dal fuoco, stringendo le palpebre per cercare di capire chi è l’uomo. Young? Il suo capitano?
“Bluehound?” incredulo, il marinaio, mentre fissa il viso del duca del Devonshire. “…Sei tu l’assassino?” ringhia dopo qualche istante Hector, cercando di razionalizzare la sua ipotesi, ripercorrendo la nottata.
Bluehound, però, scuote la testa. No, lui non ha ucciso nessuno, ma intima Trevor di spiegare al marinaio come sono andate le cose; il marchese cade dalle nuvole, sembra sorpreso ma si ritrova a chiedere dove il duca abbia trovato la pistola. “Markish non andava mai in giro con una sola arma, dovresti saperlo, Trevor…”
Le pressioni di Bluehound, finalmente, smontano il muro di silenzio di Trevor; sì, è stato lui ad architettare tutto, dalla sparizione di Hallfredsson all’esplosione della nave. Ha avvelenato il bocchino della pipa di DeScott, ha manomesso una pallottola di Markish. Tutto calcolato, per poter mettere le mani sui soldi, un patrimonio che gli avrebbe consentito di pagare i numerosi debiti di gioco.
“E le chiamate?” domanda Hector, che aveva ascoltato basito il racconto.
Una intelligente trovata per crearsi un alibi: chi ha mai sentito la voce di questo fantomatico killer? Faceva suonare il telefonino con un altro apparecchio, nell’altra tasca; ed è proprio quest’ultimo, che è stato gettato nel mare, poco prima. Eliminazione rapida di una prova.
Trevor chiede come abbia fatto Bluehound a scoprire tutto; quest’ultimo sfila dalla tasca il contenitore delle pillole di Young. “Ti è caduto mentre tentavamo di fermare Markish… Lì ho fatto 2+2, e tutto mi è stato chiaro. Quindi, ho simulato la mia caduta, per poter agire più liberamente…”
Un rumore sordo interrompe le parole di Bluehound: pale di elicottero. I soccorsi.
Trevor cerca di sfruttare il calo di attenzione dei due, e si lancia su Bluehound, nel tentativo di togliergli l’arma: nella colluttazione, parte un colpo. Per un lunghissimo istante, nulla sembra essere accaduto, poi Trevor si accascia, ferito a morte. Hector e Bluehound vengono portati in salvo, e mentre prendono il volo, scortati dai medici, una melodia pare aleggiare ancora nelle loro orecchie, un’aria che rimarrà per sempre legata a una notte orribile: Va, pensiero, sull’ali dorate…

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